“Vorrei che tu fossi felice come lo sono io in questo momento“. Maria mi disse così, guardandomi e stringendomi le braccia intorno al collo. Era felicissima. E il suo, verso di me, era il gesto di un’amica felice di vederti dopo tempo, e desiderosa di condividere con te la sua gioia. In quel momento, sotto quel cielo stellato della Corigliano magica, pensai che la situazione si era capovolta. Qualche mese prima, in estate, sotto un caldo cielo buio e nuovo, quella frase la dissi io a lei. Era dicembre, e le cose erano cambiate. Il sogno le aveva fatto visita, e lei contro tutti e tutto lo difendeva, nascondendosi nel buio, soffocando le risate di due innamorati emozionati al loro incontro, quegli amori adolescenziali che lasciano un piccolo segno dentro di noi, quegli amori lì, piccoli e passeggeri che ti fanno crescere come non mai. Ed io osservavo, memorizzando tutto. Chissà un giorno lo avrei raccontato. Avevo bisogno di memorie, perché si sapeva, la magia di quel cielo di notte così bello, e così vicino, con gli anni sarebbe diventata una cartolina da osservare con nostalgia. Mentre ricordo ho sempre davanti a me la foto in cui la casa in via Capalbo è cerchiata in rosso. Avete presente quella sensazione che pervade corpo e anima quando osservate una foto di un qualcosa che vi appartiene? Ecco, la foto è abbastanza datata, si intravede la porta del terrazzo aperta. Per un attimo vorrei animare quella foto ed utilizzarla come macchina del tempo. Vorrei diventasse un video, vorrei vedere, spiare dalla porta del terrazzo, chi si muove in quella casa e cosa fa. L’idea che in quella casa si muovono i miei ricordi più felici, mette i brividi e mi fa sorridere allo stesso tempo. La porta marrone e il cancelletto giallo, i profumi, gli odori di qualcosa di buono già pronto in tavola. Il camino fumante in cucina, e la legna da ardere nello stanzino di fronte casa. La porta gialla che si vede dalla finestra della cucina, il dipinto della madonnina, un paio di fiori finti e una lucina. Potrei ripercorrere quelle strade all’infinito ad occhi chiusi. Ne conosco ogni singolo sampietrino, ogni singola buca. Li ho quasi contati. Ognuno di essi ha un segno, un nome. E siamo legati dalla stessa calce che li tiene attaccati all’asfalto. Non voglio dimenticare mai nulla. Anche il suono del campanello. I punti di luce e ombra nella casa con le tapparelle abbassate. I balconi sottili, stretti, alti. La scala a chiocciola. La magia di quella scala a chiocciola che ti portava su in soffitta, dove erano nascosti i segreti, i sapori. Su quella soffitta c’era tutta la Calabria. Corigliano era quella soffitta, dove tra polvere figlia del tempo trascorso, cianfrusaglie, e sole bollente, toccavo il castello con un dito. E i bauli di nonna. Coperti, ben sistemati, con all’interno i suoi anni, la sua vita e i suoi perché, poi diventati i miei. Credo che quella soffitta non resterà mai vuota. In quella soffitta ci sarà sempre più Corigliano che mai, ci sarà più me di quanto non sia già io stessa. Ci saremo sempre io e Maria, mentre ci raccontiamo tutto quello che ci succede, i nostri segreti, e mentre l’una gioisce della felicità dell’altra. Ci saranno insomma, sempre due bambine sospese nel tempo, che si sono sempre aspettate e ritrovate, come se si fossero salutate la sera prima, per rivedersi l’indomani mattina.