In fila alla cassa del supermercato.
Ero lì con le mie cose, ad attendere il mio turno, con la borsa in spalla sempre troppo stretta e pesante di insicurezze che questa grande città mi ha donato. Davanti a me un uomo sulla quarantina, giacca e cravatta, borsa in pelle. Un avvocato, forse. Sistemava la sua spesa nei sacchetti e chiacchierava con la cassiera intenta a chiudere i conti. Non ho capito bene cosa commentassero di preciso e non ero nemmeno interessata ai loro discorsi. Ero frettolosa di pagare e tornare a casa per preparare la cena e poi osservare quei piccoli angoli di mondo dalla mia finestra.
Giornalisti. Parlavano di questo, ignari che a quella stessa cassa in fila ce ne fosse una. Io.
“I giornalisti. Non si stupiscono di nulla. Per loro vedere una telecamera è routine. Incontrare un personaggio che noi vediamo in TV è la normalità. Sono abituati ad ascoltare con freddezza qualsiasi storia, senza emozionarsi. Loro ascoltano per mestiere e scrivono. Il più Delle volte scrivono quello che fingono di aver sentito”. E altre cose giù di lì.
Insomma il tizio non ha una bella considerazione di noi. Mi sarebbe piaciuto rispondergli ma non l’ho fatto. È vero noi ascoltiamo tutto, a volte anche cose che non dovremmo sapere. Origliare ci viene naturale. A me viene naturale, così come viene naturale il voler sapere come mai sia passata un’ambulanza e il perché di tante pattuglie in giro. Voglio capire, voglio sapere, cerco la notizia, si. Vero. Ma non è vero (parlo per me), che ascolto tutto con freddezza e non provo emozioni. Io nei miei anni di lavoro, a parte la cronaca, ho raccontato storie. Le ho ascoltate, ho fatto mie quelle emozioni, le ho provate e ho cercato di trasmetterle al lettore. Ho vissuto le vite di quelle persone nei loro racconti per capirne i colori, ogni minima sfumatura. A volte ho anche pianto mentre scrivevo un articolo, e ancora oggi mi capita e non me ne vergogno. Queste non sono emozioni?
Che cosa è un’emozione?
Volevo dire grazie a questo signore, perché mi ha fatto comprendere ancora una volta quanto sia bello questo lavoro. Anche se da quando sono qui, scrivo meno storie.
Perché da quando sono a Roma ho perso un paio di cose:
10kg
La penna poetica
E la testa.