“Prima vendevo ‘radioline’. Ma da quando i cinesi hanno aperto negozi ovunque, non ne ho vendute più. Allora vendo questi – mi dice indicando i santini – e questi non ce li ha nessuno come li ho io. E non c’è male, riesco a venderli sai? E poi le guardie se vengono lo sanno. Vendo cose a fin di bene, non faccio del male a nessuno”.
Il fin di bene e le giustificazioni, una scena già vissuta e un inevitabile sorriso, il mio.
Cappotto grigio scuro, quasi nero come il berretto di lana. Sciarpa grigia, sopracciglia grigie folte e, sul volto, i segni inequivocabili del tempo. Quasi tutto grigio, e forse un po’ di azzurro lì dove solo il cuore di Nicola sa guardare. Per Nicola ogni cosa sembra essere al suo posto. I suoi Santini, in fila e in perfetto ordine, la sua sedia in legno, precisa e perfettamente equidistante dalle due scalinate che portano alla metro Cavour; il suo banchetto, il bastone poggiato alla sedia, e lo sguardo rivolto chissà dove, lontano. Sicuramente proiettato non nel caos di Roma, ma in una dimensione che nei ricordi di Nicola probabilmente occupa un posto importante. Potremmo dire che il suo sguardo volge all’infinito, eppure qualcuno ha pensato di quell’uomo che è come se guardasse il mare. “Sembra un pescatore sul molo” mi è stato detto una volta. È tanto in realtà che lo osserviamo e che mi si propone di raccontare la sua storia.
Ma come si fa ad entrare nella vita di un uomo, così all’improvviso? L’ho incontrato nel bar accanto la scalinata che porta alla metro. Era a fianco a me e beveva un caffè in una tazzina di vetro. Ci siamo guardati ed ha alzato la sua tazzina verso di me in segno di saluto. L’ho seguito all’esterno e l’ho notato lì, nella sua postazione. All’inizio ho pensato di fotografarlo da lontano, poi ho pensato che in questo modo lo avrei ingannato e allora ho deciso di avvicinarmi. Nessuno parla con Nicola. Qualcuno ogni tanto, acquista un Santino in silenzio e va via. Gli ho chiesto un Santino anche io, e lui mi ha risposto che avrei potuto scegliere tra quelli che aveva, anche se mi ha sponsorizzato tra tutti San Gennaro, il protettore di Napoli.
Si, perché Nicola è di Napoli. È da lì che viene, e forse è questo che occupa un posto particolare nel suo cuore. Forse il suo sguardo volto all’infinito immagina la sua Napoli.
Gli ho chiesto San Michele Arcangelo, ma non lo aveva e allora mi ha subito indicato Sant’Anna, la protettrice delle mamme. “Sei giovanissima” mi ha detto, porgendomi la figurina.
“E tu quanti anni hai?” gli ho chiesto.
“Napoli, 22 luglio classe 1942. Ho 76 anni” mi ha risposto, con quel tipico orgoglio che hanno gli anziani nel dire il loro anno di nascita. Quasi come se fossero sugli attenti… Testa alta e petto in fuori.
Nicola è solo, e si appoggia da un parente. Non ha figli né, nipoti. Il suo unico sostegno è il bastone e i suoi Santini che, come dice lui, “non c’è male, riesco a vendere”.
L’ho salutato e mi ha stretto la mano fortissimo. “Allora buona fortuna” gli ho detto…
“Ma io sono già fortunato. Ti vedo, vedo tutto. E sto qua”. Mi risponde così, mi sorride e mi spiazza. Perché tutti vediamo tutto, ma forse non oltre come lui. Dalla sua postazione io vedo solo cemento armato e il caos di una città immensa.. ma se lui riesce davvero a vederci altro e a sorridere nonostante tutto, allora è davvero fortunato. E forse ora lo sono un pochino anch’io… Perché ogni giorno, a ora di pranzo, c’è un sorriso e un saluto per Nicola, con i suoi Santini e il suo banchetto dal suo “molo” in via Cavour.