Ehi Falco, ciao! Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta a raccontarti (in) una storia, ma non aspettarti il “c’era una volta”, perché una volta non c’era nulla. Ma c’è ora. Adesso. In questo preciso istante.
E se è vero che il buio non fa più paura, questa luna voglio immaginarla… Mentre sono a pancia in su a guardare il tetto.
Dentro di me. E questo conta. Questo è.
Bianco, nero. Bianco, nero. Bianco, nero. Quei non colori rimbombavano nella sua testa come il ticchettio di un orologio, mentre osservava il lampadario appeso al soffitto. Bianco e nero, appunto. In una ripetizione ciclica e infinita di linee che abbracciavano i pensieri proiettati da lì a pochi minuti, in quella sua incertezza sui “dopo” che durano da sempre. Eppure qualcosa era cambiato in quel tempo apparentemente fermo: le cose, quelle più semplici, fino a poco prima sperate come quando si spera nell’impossibile, erano diventate una bella normalità, cornice perfetta di un quotidiano reale, misto a sogni proiettati in un futuro sconosciuto. Così, avvolta nei pensieri di quel dopo che le fremeva dentro, si incamminò lungo la strada che conduceva al ponte, e lì scorse la natura che faceva capolino, tra le sfumature del cielo al tramonto, le bellezze di una città immensa, e due piccioni fastidiosi che si promettevano chissà che, sfregandosi la testa l’uno contro l’altro.
Bianco, nero. Bianco, nero. Bianco, nero. La mente e la vista ritrovano il loro equilibrio su quel soffitto e quel lampadario dai giochi di non colore a ripetizione. Ed è forse lì che si è accorta dell’infinito… Di quelli che durano anche solo un istante, ma non finiscono mai davvero perché li senti addosso, dentro, sulla pelle, nella bocca, nelle narici, tra le dita delle mani, tra i capelli. Sul lembo della maglietta stropicciata, tra le unghie, tra le fossette del viso.
Un suono e per un attimo la realtà bussa a quella visione mistica, mentre il “dopo” atteso è diventato un adesso, un si.
Lo squillo del cellulare, un messaggio. Una richiesta di informazioni da un’amica e una risposta. Poi un’altra domanda:
– “E per il resto come va?”.
– “Tutto bene. Finalmente sono felice”.
E forse la risposta più bella che si può dare a un “come va” è quella che ha dato lei.
“Finalmente”. L’espressione di quanto un dopo possa essere importante, soprattutto quando muove la penna.
E fu in quel preciso istante che il Falco spiccò il suo volo più bello verso la luna e verso l’incerto. E forse da allora, iniziò a non avere più paura del buio.
Ecco, Falchetto. Ci sto riuscendo a raccontare… Non è facile riprendere sai? Ma se è vero che il buio non fa più paura, questa luna voglio immaginarla… Mentre sono a pancia in su a guardare il tetto.