È arrivata intorno alle 20.30 di ieri sera la sentenza della quarta sezione penale della Cassazione che ha assolto i tre carabinieri accusati e di omicidio colposo e condannati in primo e secondo grado (a 8 mesi e 7 mesi) per la morte di Riccardo Magherini avvenuta il 3 marzo 2014 a Firenze. Il collegio, accogliendo il ricorso della difesa dei tre Carabinieri, ha disposto l’annullamento della sentenza d’appello perché il fatto non costituisce reato.
Il verdetto di stasera cancella anche i risarcimenti stabiliti dalla Corte d’appello in favore della famiglia Magherini.
Una lunga attesa prima della sentenza. L’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Magherini presentò ricorso in Cassazione, contestualmente a quello della difesa dei Carabinieri, chiedendo un nuovo processo per riconoscere che si trattò di omicidio preterintenzionale e non colposo, cosa che avrebbe portato a maggiori risarcimenti. Il ricorso dell’avvocato Anselmo, però, è stato rigettato dalla Procura Generale.
“Il decesso di Magherini – ha premesso il pg – è stato determinato dall’elevato tasso di cocaina, da asfissia e dallo stress dovuto all’assunzione di cocaina e al tentativo di liberarsi dalla posizione prona in cui lo tenevano i carabinieri”.
Per il Procuratore Generale i carabinieri erano ben consapevoli dell’alterazione psico-fisica e se l’avessero liberato dalla posizione prona quando aveva dato i primi segnali di calma e manifestato affanno, l’uomo avrebbe potuto essere soccorso e con elevata probabilità di salvarsi. Per i giudici però, il fatto non costituisce reato, dunque assoluzione.
Soddisfazione del CoCeR Carabinieri
L’ennesima dimostrazione che la giustizia deve essere amministrata dai Giudici e non attraverso processi mediatici – scrivono in una nota –
Siamo vicini ai Carabinieri assolti, consapevoli che nessuno potrà restituire loro la dignità ingiustamente calpestata, ne ripagarli delle offese e del danno subiti.
Nella speranza che domani i giornali sapranno riportare la notizia con la stessa enfasi con cui fino ad oggi sono state diffuse le infamanti accuse.
Anche il Sap si esprime sulla vicenda rimarcando l’importanza di telecamere sulle divise
Finalmente la giustizia ha messo la parola fine a questa triste vicenda che ha visto coinvolti per anni tre carabinieri – commenta Stefano Paoloni segretario generale del Sindacato Autonomo di polizia (Sap).
“Ancora una volta – continua Paoloni – torniamo a sottolineare quanto sia importante che i processi si svolgano nel loro alveo naturale, ovvero i tribunali e non la piazza mediatica. Fortunatamente – conclude – la giustizia trova riscontro nei veri Tribunali e non sui giornali. Per tutte le forze dell’ordine servono Garanzie Funzionali che meglio tutelino gli operatori della sicurezza e garantiscano i cittadini. Prime tra tutte le telecamere sulle divise, sulle auto di servizio e negli ambienti in cui operiamo. La telecamera è uno strumento di verità e trasparenza ed inibisce, tra l’altro, chi tenta di strumentalizzare l’operato delle forze dell’ordine e non è alla ricerca della verità.
Sulla stessa linea anche l’on. Gianni Tonelli, deputato Lega
La morte di una persona è sempre un fatto doloroso e una sconfitta per la società ma oggi è stata resa giustizia ai tre carabinieri disumanizzati dal “processo mediatico” con la sola colpa di servire il Paese e la brava gente. I processi – prosegue Tonelli – devono celebrarsi nelle sedi giudiziarie e non sul circuito mediatico ove gli appartenenti alle forze dell’ordine non possono difendersi. Le norme delle singole amministrazioni vietano agli operatori in divisa di intervenire pubblicamente e il “processo mediatico” si trasforma in un barbaro tiro al piccione, soprattutto quando “l’accusa pubblica”, sapientemente e cinicamente veicolata, può contare sui supporter del partito dell’Antipolizia, estremamente influenti sul circuito mediatico e politico-istituzionale. La Suprema Corte di Cassazione ha, di fatto, con questa sentenza, riportato le dinamiche processuali all’interno del proprio alveo naturale e preso le distanze con una prassi di totale inciviltà giuridica. Pretendere di condizionare l’opinione pubblica allo scopo di operare una indebita pressione sull’Autorità Giudiziaria – conclude – è assolutamente disdicevole e rappresenta la negazione del diritto di difesa e una involuzione del processo di civilizzazione culturale.
Una sentenza che non piace, perché le sentenze vanno rispettate solo quando ad essere condannati sono degli uomini in divisa. Cio denota i limiti “democratici” di chi si dice rispettoso delle istituzioni. Ma l’assoluzione c’è. Un’assoluzione che arriva dopo anni di processo e gogna mediatica, con un iter che è sempre lo stesso: divulgazione di immagini dei corpi dei poveri protagonisti, giornali, TV, con conseguente condanna da parte di media e opinione pubblica.
La dimostrazione – l’ennesima, dopo le assoluzioni nei casi Ferulli e Uva – che le accuse strumentali e propagandistiche mosse sui media, non coincidono con quello che è il naturale corso della giustizia in un’aula di tribunale, quella giustizia che premia gli ultimi. Anche quando questi indossano una divisa. E Senza film.