Per la prima volta dopo 10 anni dalla morte di Stefano Cucchi, in esclusiva per il Format.info, mediante il suo legale, avvocato Antonella De Benedictis, arrivano le dichiarazioni di Alessio Di Bernardo, uno dei tre carabinieri imputato con l’accusa di omicidio preterintenzionale, per la morte di Stefano Cucchi, 30enne tossicodipendente romano, arrestato la sera del 15 ottobre 2009 per spaccio di sostanze stupefacenti e morto il 21 ottobre dello stesso anno presso il reparto di medicina protetta dell’Ospedale Pertini.
«Amo quella divisa che ho indossato con orgoglio fino a tre anni fa. Mai e poi mai, se quella notte fosse successo qualcosa, avrei taciuto. Avrei immediatamente e, non dopo nove anni, denunciato all’autorità giudiziaria, anche a costo che questa potesse ipotizzare un mio coinvolgimento».
Questo è quanto dice – fa sapere il suo avvocato – il carabiniere Alessio Di Bernardo.
«Sono un carabiniere da sempre propenso all’attività operativa. Ho effettuato diversi arresti in circostanze diverse. Mi è capitato anche di imbattermi in persone violente che hanno tentato di aggredire, di insultare o sputare addosso. Ma non è mai successo nulla. Mi sono preso minacce, sputi e insulti, ma non vi è stata mai alcuna reazione violenta. Ho sempre e solo consegnato l’arrestato alla giustizia».
E’ lo sfogo di un carabiniere al suo legale, un carabiniere che da tre anni quasi, è sospeso dal servizio. Una sospensione arrivata ancora prima del rinvio a giudizio.
Alessio Di Bernardo, insieme al Carabiniere Raffaele D’Alessandro, sono stati accusati dal loro coimputato, il Vice Brigadiere Tedesco, di essere stati gli autori del pestaggio, definito dal Tedesco “un’azione combinata”, ai danni di Stefano Cucchi, la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, nella sala del fotosegnalamento presso la Caserma Casilina.
La testimonianza (e non confessione) di Tedesco, arriva ben 9 anni dopo la morte di Cucchi, con dichiarazioni rese al PM Giovanni Musarò nel giugno 2018. Dichiarazioni, quelle di Tedesco, che apriranno la strada al processo per falsi e depistaggi, che vede coinvolti a vario titolo diversi ufficiali dell’Arma dei Carabinieri.
Il Vice Brigadiere Francesco Tedesco, venuto a conoscenza della morte di Stefano Cucchi (la cui diffusione mediatica inizia il 26 ottobre con un’ansa), redige un’annotazione di servizio il 22 ottobre, in cui ricostruisce quanto a suo dire, sarebbe avvenuto quella notte, ovvero dei due colleghi che avrebbero picchiato il Cucchi con calci, spinte e schiaffi e del suo tentativo di fermarli, difendendo Stefano che, nel frattempo, avrebbe sbattuto la testa restando intontito.
Questa relazione di servizio, prodotta in due copie originali (una agli atti e l’altra destinata all’Autorità Giudiziaria), sarebbe sparita. Al ché, Tedesco, avrebbe capito di ritrovarsi da solo dinanzi un muro insormontabile, così come ha ripetuto in udienza l’8 aprile, dopo essersi scusato con la famiglia Cucchi.
Denunciata questa circostanza al PM, taciuta per 9 anni in quanto il Tedesco temeva ripercussioni, lo stesso Musarò chiede l’acquisizione del registro, rinvenendo in corrispondenza del protocollo relativo all’annotazione che Tedesco riferisce scomparsa, un foglio bianco con la scritta a penna “Occupato” di cui il Tedesco riferisce di non sapere e che alimenta l’ipotesi complottista del depistaggio.
A tal proposito, l’avvocato Antonella De Benedictis, difensore del Carabiniere Alessio Di Bernardo è in possesso di un parere pro veritate richiesto ad una grafologa: «Da questa relazione peritale, emergerebbe che la scritta “occupato” sia stata realizzata proprio dallo stesso Tedesco, in quanto i documenti comparativi sono provenienti da una unica mano scrittoria».
Il parere pro veritate grafologico richiesto dall’avvocato è stato anche comunicato in udienza, ma non acquisito dalla Corte. Considerata l’importanza di quanto stabilisce sia in termini oggettivi (di attendibilità delle dichiarazioni di Tedesco) che in termini processuali (essendo quelle di Tedesco le dichiarazioni di un coimputato) verrà presentata una richiesta istruttoria per la nomina di un perito da parte della Corte.
Dunque, un accertamento calligrafico disposto eventualmente dai giudici, potrebbe – stando a quanto ci riferisce l’avvocato De Benedictis – rivelare ulteriori scenari nel processo.
Un processo per omicidio preterintenzionale che presenta diversi punti oscuri: possibile che nessuno si sia accorto di Stefano Cucchi preso a calci in faccia la mattina della direttissima? Avvocato d’ufficio, giudice di convalida, PM, lo stesso padre che in una intervista video – reperita con estrema difficoltà – dichiara che quella mattina Stefano stava bene, non aveva dolori e che se ne avesse avuti glielo avrebbe certamente detto?
Possibile che ci siano voluti diversi anni affinché se ne accorgesse lo stesso avvocato Fabio Anselmo che, nel ricorso in Cassazione scriveva che Stefano non poteva essere stato picchiato dai Carabinieri e che quei rossori sotto gli occhi altro non erano che un comune eritema dovuto ad una situazione di stress e alla normale conformazione del ragazzo?
Possibile che i periti che negli anni non hanno riscontrato nelle lesioni la causa del decesso, siano stati tutti manipolati a dispetto di coscienza e di etica e deontologia professionale?
Infine, chiudiamo con una riflessione ispirata a un detto arabo: a quale ‘onesto’ bisogna credere? A colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità, o a colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero?