Questo pomeriggio, per puro caso, mi sono imbattuta in alcuni screenshot nei quali qualcuno, all’interno di un gruppo dedicato al rap, criticava la partecipazione di Sebastiano, in arte “Revman”, a Sanremo Giovani.
La critica non è rivolta ai testi di Revman che possono piacere o meno, bensì alla giacca che indossa: quella della Polizia di Stato.
Sebastiano è infatti un poliziotto con la passione per il rap.
“Mi dispiace dare visibilità a sta merdata, ma volevo condividere con voi il dolore della cosa”. Scrive così un tale Mark, a commento della notizia della possibile partecipazione di Sebastiano a Sanremo. Sotto il post si scatenano i commenti: “musica di strada fatta da uno sbirro? Si vede che in Italia la cultura dell’hip hop non si sa proprio che cazzo è. ACAB fino alla morte”. Scrive invece un tale “Maicol”.
Informato Sebastiano di quanto scritto sul suo conto, lui di tutta risposta, dà una lezione agli haters.
“Sono ignoranti in materia – dice – ignorano le origini dell’hip hop. L’Hip Hop è nato nel 1973, grazie a questo movimento i giovani, vedevano la città sia come spazio di vita sia come spazio di espressione: ogni persona era
libera di esprimere la propria identità con questo nuovo metodo musicale. Io esprimo la mia identità – continua – stanno facendo discriminazione nei miei confronti e l’hip hop va contro ogni forma di discriminazione. Questa cosa mi rattrista, perché vuol dire che non conoscono la storia del genere che ascoltano”.
Sebastiano con la sua musica e la professione di poliziotto, testimonia ogni giorno che si possono coniugare più aspetti della vita e che il tema della legalità e della capacità di saper comunicare ai giovani, con linguaggi innovativi e intergenerazionali, è fondamentale per la prevenzione e la lotta di ogni forma di discriminazione, abuso e violenza di genere e tra pari. Per Sebastiano tutto questo è Hip Hop.
Il resto sono solo chiacchiere da imbecilli che, nella vita, oltre ACAB fino alla morte, non hanno di meglio da raccontare.
Poverini.