In questi giorni, le pagine Facebook istituzionali di Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato, hanno divulgato immagini di appartenenti che, durante il servizio, si sono imbattuti in anziani soli o in difficoltà oppure di Carabinieri impegnati nel servizio scorta ai vaccini anti covid.
Storie che, se da un lato aiutano a far capire all’opinione pubblica che dietro la divisa ci sono uomini, da un altro lato, come tutti gli eccessi, possono sortire l’effetto contrario.
L’intento di raccontare di un anziano a cui i Carabinieri o la Polizia hanno tenuto compagnia, era quello di far comprendere come l’uomo in divisa, concepito come il nemico o “la guardia infame”, possa essere di fondamentale importanza per chi si sente solo, per chi ha bisogno. Per quell’anziano che ha ricevuto la loro visita, non c’è indignazione o critica che tenga: quello è stato il suo momento, lo ha riempito di gioia. Stessa cosa per il bambino di Napoli a cui due poliziotti del Commissariato di Portici hanno regalato il calendario. Per quel bimbo non c’è critica che tenga, quegli agenti sono i suoi angeli.
Il troppo storpia
Diversamente, esaltare un gesto comune, come scortare un vaccino, solo perché è l’argomento del momento, strumentalizzando un appartenente che come migliaia di altri, ha trascorso il Natale lontana da casa, rischia di scatenare reazioni del tutto contrarie.
In un articolo (tra l’altro, a pagamento) apparso su IlMessaggero.it, si raccontava l’esperienza del Maresciallo Capo dei Carabinieri Celestino Piccirillo, impegnato nel giorno di Natale a scortare il vaccino anti covid dal Brennero fino a Roma.
Nell’intervista rilasciata al Il Messaggero, il maresciallo Piccirillo si è detto onorato del servizio svolto, nonostante la rinuncia a trascorrere il Natale con la sua famiglia.
Un’intervista, ovviamente autorizzata dai vertici dell’Arma, che non è andata giù ai tanti che, allo stesso modo, la notte della vigilia e il giorno di Natale, nel silenzio, senza interviste e riflettori, hanno trascorso il Natale lontano dai propri affetti, per rispondere agli obblighi imposti dalla divisa che indossano: il servizio alla comunità.
Tanti altri uomini e donne in divisa in servizio nei giorni di festa
Comprensibile dunque, l’indignazione di chi, a parità di sacrificio, è rimasto nell’ombra e chiede di restarci, perché fare il proprio dovere non è un atto di eroismo, ovviamente senza avere nulla contro il loro collega che ha rilasciato quell’intervista.
Innanzitutto, perché autorizzare una intervista che non racconta nulla (a detta di chi la divisa la indossa) di eclatante? In quanti hanno scortato organi, plasma, denaro e non sono finiti sulla stampa?
Condiviso il post e chiesto ai lettori il loro parere, compreso quello degli “addetti ai lavori”, ciò che è venuto fuori è davvero interessante. Molti di loro, in privato e confidando nel segreto professionale, mi hanno affidato il loro sfogo.
Una forma di riscatto dopo gli scandali mediatici
Tra questi, quello di una fonte confidenziale, interna agli ambienti dell’Arma. Secondo la sua opinione, l’Istituzione, probabilmente tende ad esaltare gesti normalissimi, come ad esempio aiutare un anziano, fargli compagnia o soccorrere un randagio, per dare un’immagine positiva dell’Arma e riscattarla da quelle che sono tristi note vicende che hanno visto l’Istituzione al centro della bufera negli ultimi anni, in ultimo, i fatti di Piacenza.
«I Carabinieri non devono farsi perdonare nulla»
Ma l’Arma non ha bisogno di farsi perdonare nulla, perché presunti errori di alcuni (almeno fino a sentenza definitiva) e le montature mediatiche che ne conseguono, non possono certo pregiudicare una intera istituzione e tanti uomini e donne che, ogni giorno, con alto senso del dovere, svolgono il proprio lavoro.
«Non siamo attori o figuranti: siamo Carabinieri»
«Il collega che ha scortato il vaccino ha fatto esattamente ciò che chiunque di noi avrebbe fatto al suo posto, se comandato. Con queste iniziative l’Arma tende a dare un’immagine positiva di sé, dopo che casi mediatici trascinati dai tribunali fin sopra i giornali, ne hanno dilaniato l’immagine. Chi ha sbagliato deve pagare, ovviamente, ma noi altri non abbiamo nulla da farci perdonare, perché ciò che si vede sui social, lo facciamo tutti i giorni. Non occorre enfatizzare: non siamo attori o figuranti, siamo Carabinieri».
«Ho soccorso un senzatetto senza qualificarmi»
Un altro appartenente all’Arma si sfoga così: «In merito al post del collega a scorta ai vaccini, non ho nessuna critica contro di lui, leggendo però l’articolo e la sua intervista integrale rimango basito e di sasso, sicuramente la ritengo strumentale e molto enfatizzante di un episodio ritenuto da me e forse da molti altri, solita routine. Sono Carabiniere anche io da più di 25 anni, rivesto il grado anche io di Maresciallo (da poco perché mi sono fatto tutta la gavetta) ed ho sempre lavorato con abnegazione, fedeltà al giuramento prestato, sempre pronto al servizio della collettività ma sempre restio e fuggente ai riflettori.
Il nostro operare non deve essere una fiction o un reality, un esempio? Qualche giorno fa, smontando a mezzanotte, ho soccorso un senza tetto, era disteso in mezzo alla sede stradale con il rischio di esser investito, sono stato con lui, e dopo averlo messo in sicurezza ho chiamato ed atteso l’ambulanza, ma non ho ritenuto qualificarmi, né con lui e né con i soccorritori. Sono poi rincasato con almeno un’ora di ritardo, senza destare preoccupazione a mia moglie. Per la cronaca, devo affermare che altri colleghi fanno cose ancora più importanti, ma sempre restando nell’anonimato. Il nostro lavoro ci implica sacrifici ma li facciamo con passione e dedizione nonostante le nostre famiglie, dopo anni, non ci sopportano più o ci sopportano a fatica».
«Fa parte del nostro lavoro»
Ancora un altro carabiniere: «Onore a chi scorta i vaccini, ma serviamo il paese e gli italiani, tutti lontani da casa, anche nei giorni di festa… Fa parte del nostro lavoro».
E ancora un altro: «Io credo che non ha fatto niente di più e niente di meno, di quello che noi facciamo ogni giorno. Siamo pagati per questo, seppur sempre poco, ma siamo pagati. Purtroppo quando scegliamo di indossare una divisa, sappiamo che nella nostra vita bisognerà fare delle rinunce, tra queste, non passare in famiglia le feste. Sia chiaro che quello che dico non vuole sminuire il collega. Per me, fare questo o un altro servizio cambiava poco. Di sicuro so che in qualunque caso sto facendo il mio dovere, ed è questo che vale per me. Chi ha scelto, come me, di indossare la divisa deve farlo per amore e non per avere notorietà».
Voci fuori dal coro
Sulla scorta di queste reazioni e dello sfogo dei vari appartenenti, è stato interpellato Roberto Di Stefano, Segretario Nazionale del Nuovo Sindacato Carabinieri (NSC).
«Il governo, come tutti i paesi europei che hanno dato risalto al V-Day in ogni modo possibile, aveva bisogno di una esposizione mediatica (forse anche l’Arma, contrariamente a un passato fatto di silenziosa dedizione). Comunque – dice Di Stefano -, la società liquida nella quale viviamo processa, digerisce e scorda qualsiasi cosa in tempi rapidissimi, lo farà anche con questa vicenda. Sicuramente, l’immagine di una missione epocale cozza contro la quotidiana e continua azione dei Carabinieri che 24/7 protegge la serenità delle Comunità attraverso il 112, i servizi di prossimità e la disponibilità dei Colleghi delle Stazioni. Senza scordare le migliaia di scorte. Tutto chiaramente in silenzio e con la perfetta conoscenza dei propri doveri, con l’appoggio indispensabile delle Famiglie di tutti i Carabinieri che – conclude – comprendono il sacrificio supportando la dedizione alla Cittadinanza».