CAPALBO 16

Vi presento Capalbo16. Una storia che inizia dalla fine. Una storia che mi riporta a casa. La mia vera casa, che ho rinnegato per anni poiché bendata. Ma al cuor non si comanda, dice il detto. E tutto è tornato alla normalità. “Ma quando ti decidi a pubblicare??”. Oddio in quanti me lo hanno chiesto, e la risposta è sempre stata la stessa: “Quando troverò il coraggio”. Non è facile spogliarsi tra le pagine di un libro. Ma quando mi chiedono perché Capalbo16 una risposta devo pur darla. E la risposta è qui in questo testo. La fine di una storia di vita che segna l’inizio. Pezzi di tante storie diverse, scritte e lasciate lì su un foglio, in anni diversi. Poi ricucite. Anzi incastrate. Perché la vita è un grande puzzle. E non sai mai quale sia il pezzo giusto al momento giusto. Avete presente? Quello che crea l’incastro perfetto. Il momento. Sta lì, fermo. Combacia tutto alla perfezione. Inizia a fondersi con il resto e allora si, là inizia il viaggio. Questo è un viaggio di quelli lunghissimi. Quelli che ti tolgono il fiato. La strada lì davanti a te, e tu aspetti di arrivare a destinazione e abbracciare il mondo. Quanto mi mancava questo spirito. Si è aperta la gabbia finalmente, ho lasciato volare tutto via nel vento ed ogni cosa ha raggiunto il suo posto: ogni cosa ha preso forma. E la forma si è trasformata in sostanza. In materia. Una materia strana però, non tutti possono toccarla, no. Io si però, la sento, la vivo. E’ in queste parole. In questo mio modo di urlare silenzioso. Di cominciare dalla fine. Come pagare prima di acquistare. E’ così bello stravolgere le regole, caspita. E per stravolgere servono le complicità. Quelle che con te urlano in silenzio per non farsi sentire. E urlare in silenzio è il più bel paradosso che possa esistere a questo mondo. Come le favole al contrario. Hanno stancato le principesse che aspettano. Hanno stancato i c’erano una volta all’inizio. Vissero tutti felici e contenti perché se dovessi descrivermi con una favola, direi che sono una Peter Pan in sella ad un cavallo bianco che corre dalla nonna abbracciata al lupo. Senza scarpe. Senza rose che perdono petali. Senza streghe. È tutto un incantesimo. Senza mele avvelenate. Quelle c’erano una volta. La mia favola finirebbe con c’era una volta. Sono sempre stata convinta che le storie più belle da raccontare siano quelle che iniziano al contrario.E allora perché iniziare? Giuro che non inizierò mai a raccontare nulla dall’inizio. L’inizio è ogni giorno che passa, ogni ora; ogni minuto; ogni secondo; ogni istante ed ogni respiro. Inizia il viaggio. Via Capalbo è la via della felicità. La via della vita. La via dei ricordi. La via dell’estate, dell’inverno, dei Natali, dei segni sulla pelle su quei sampietrini. La via della porta marrone, della soffitta dei sogni, il posto più alto per guardare il cielo. La via delle notti insonni a lanciarci il mondo dai balconi. Delle risate, della sigaretta di nascosto. La via di chi si è ritrovato alla faccia del tempo trascorso. E siamo rimasti sempre tutti uguali, uniti allo stesso modo, anche se io per un attimo sono andata via dal mio vero mondo. La via dei discorsi filosofici affacciati alla ringhiera del girone. Dove immaginavamo il domani di ognuno, e in quel domani ci siamo ritrovate tutti e tutte. Allo stesso posto. In Via Capalbo il tempo si è fermato. E’ la mia Wonderland. Tutto parla, tutto ha voce. Soprattutto i ricordi. Osservo una vecchia foto panoramica ritrovata per caso.Ho un ricordo sempre vivo in me. Talmente vivo che io stessa vivo di questo. E’ un pezzo di vita, un qualcosa dal quale non potrò mai e poi mai separarmi; perché mi appartiene, ed io appartengo ad esso. Ed è nel mio silenzio più profondo, che riesco a portare in vita ciò che nella realtà purtroppo non c’è più… O quasi.Sebbene ci sia stata, e abbia trascorso lì bellissimi momenti della mia vita, non ho mai vissuto nella città che mi ha vista nascere; Ma posso dire che vi ho vissuto, attraverso gli occhi di mia nonna. Vivevo nelle sue parole, durante le nostre chiacchierate, mentre mi portava con sè, mano nella mano, sera dopo sera, a scoprire dei piccoli angoli di vita, di umanità, di gente comune. La città della calma e dello star bene. Delle strade intasate di lamiere sotto il sole, della gente che brulica per la piazza, delle urla dei venditori nel mercato, dei sorrisi di un incontro per caso, tra le buche e i sanpietrini. La città di tutti quegli strani quartieri di chissà dove. Dei palazzi che cercano di raggiungere il sole, delle tante chiese antiche che sbucano tra un angolo e il cemento. Persiane abbassate nelle ore più calde, e voci di donna che rimbombano tra le strade e i cortili. Ed un garage, quello suo, e quella vecchia 500. La città dei gradini e delle panchine. Le partite di calcetto fuori casa, mentre il sole scende. E lei con i capelli raccolti, il viso dolce e gli occhi grandi. Ed un abbraccio. La città dei gruppi di giovani, e delle uscite di sera. Profumi che provengono da ogni casa, e la musica di qualche automobile che scivola per le strade, insieme ad una macchina che passa silenziosa: qualcuno starà tornando a casa. Gruppi di ragazzi sui motorini. Risate, e parole in dialetto vivo. Sopra, un cielo nero, sotto, tanti cuori che battono, amicizie che sbocciano, ed amori che nascono. La città del sole e delle spiagge. Delle primavere calde, dove finisce il cemento e inizia la sabbia. E le ciabatte in spalla, e quel mare di Calabria azzurro già d’estate. Le magliette colorate, gli amici che ridono e si rincorrono. Una ragazza, un sorriso. Una coppia di amici. Un abbraccio, tutti insieme, una foto. Il tempo si ferma. E lei in quella foto spettinata, il ciuffetto sugli occhi, e Lei un pochino nascosta, tra le braccia dei figli, e una grande dolcezza negli occhi. La città del belvedere. Dei silenzi di sera. Di un muretto che la domina. Delle luci della città che occhieggiano e si confondono con le luci del cielo. Di una panchina. Vuota. Mentre Lei sogna di essere lì con i suoi anni trascorsi. E che non accetta. Di fredde spire di vento che avvolgono lei, e i suoi ricordi, allontanandoli. La città dei sogni d’amore. Di un campanello mai suonato. Di una ragazza che non si è mai affacciata. Di due mani che non si sono mai sfiorate. Avrei voluto tenerle la mano nella mia, solo una volta… Solo una volta…Mentre Lei mi parlava, in quelle chiacchierate, io ero nei suoi occhi. Accanto a lei, a vivere quella città, attraverso i suoi ricordi, a viverla con Lei. E insieme, sorridevamo, ed eravamo felici. Quella fu per me anche la città delle stelle. Di una notte di agosto. Di un “un abbraccio” ripetuto infinite volte. Di due anime belle sotto lo stesso cielo, che si ripetono il loro amore, mentre la notte li avvolge.E adesso non resta che una casa vuota. Il profumo di Lei nella casa, che segna la sua presenza; i graffi sul pavimento che raccontano la storia di una vita. E quel portone con quel piccolo cancello.Tutte quelle vie strette e misteriose, ognuna con la sua storia, un mondo di emozioni inesplorato.E infine il mio baule di ricordi, la casetta di nonna, e quei gradini sui quali puntualmente mi sbucciavo le ginocchia. Una parte di me vive tra quelle mura; le mura di quella casetta in Via Capalbo che ho cerchiato sulla fotografia.E questo è il mio buon motivo per tornarci.

Lei oggi non c’è più, ed è stata una delle persone più belle, in ogni senso, che abbia mai incontrato in tutta la mia esistenza, e quando mi ha lasciata ho preso dolcemente il ricordo di lei facendolo diventare parte di me, della mia forza; ancora oggi questa persona che ho amato, torna a trovarmi, e spesso nei pensieri durante le giornate, a ricordarmi ciò che è stato, e ogni volta c’è una lacrima, e un sorriso. Perché mi ha cambiata, perché mi ha dato tanto di lei senza chiedermi niente, e questo è forse il più grande, il più bel gesto d’amore che si possa sperare mai di avere.
Lei è ancora lì, in quella città, e si muove tra le stanze della sua esistenza, tornata in vita chissà come, chissà quando, ma lei c’è, in quella città, e anche la città è tornata a vivere.