Sputare contro un agente di Polizia che sta espletando il proprio servizio a tutela della sicurezza e ordine pubblico, sarebbe un gesto di tenue entità. Questo è quanto emerge dalla sentenza di assoluzione di un giudice del Tribunale di Milano, nei confronti di un militante dell’area antagonista che, nel 2016, sputò contro un poliziotto durante una manifestazione.
Una sentenza che ha fatto discutere e che è balzata agli onori delle cronache nazionali, suscitando l’indignazione dei sindacati di Polizia. Tra questi a dire la sua, il Sindacato Autonomo di Polizia, attraverso la voce del suo Segretario Generale Stefano Paoloni.
«Non ho parole. Con questa sentenza sputare contro un poliziotto, diventa legittimo» tuona il sindacalista che incalza con un esempio sportivo: «Nello sport chi osa sputare contro un avversario, verrebbe sicuramente squalificato. Nel caso di specie, non dico il carcere, ma sarebbe stata quanto meno opportuna una ammenda».
La Polizia ultimamente è sempre più nel mirino. L’ONG Amensty International di recente ha avviato una petizione per chiedere al Governo l’introduzione di una normativa che preveda dei numeri alfanumerici individuali da apporre sui caschi dei poliziotti impegnati in servizi di ordine pubblico. Questo perché – a dire di Amnesty – presunti abusi da parte della Polizia, violerebbero i diritti umani.
Come controproposta a quella di Amnesty, che invita la Polizia a “metterci la faccia”, vi è quella del Sap che da anni propone l’introduzione di telecamere su divise, auto di servizio e celle di sicurezza, per video – fono registrare ogni istante dell’intervento di Polizia, su regolamento del Garante per la privacy. Le telecamere – come ha più volte sostenuto il Sap – sono strumento di trasparenza e verità, che non perdonano nessuno e che, a differenza degli alfanumerici, non prestano la spalla a false denunce da strumentalizzare.
Vignetta di Paolo Piccione