Vi spiego la storia degli identificativi sulle divise delle forze dell’ordine.
Quando sei uno scappato dai centri sociali e un partito ti arruola facendoti eleggere deputato, è ovvio che la prima cosa che ti viene in mente è quella di farla pagare alle divise, in piena retorica sinistra italiana che torna subito all’attacco dopo due mesi di governo PD-Conte. Per questi lustrissimi signori, il problema sarà sempre Casa Pound, il fascismo che non c’è, il fantasma del razzismo e, ovviamente, e in titoli di coda, le Forze dell’Ordine.
Il muro di Berlino è caduto nel lontano 1989, il fascismo 40 anni prima, ma c’è chi pietra dopo pietra li rivorrebbe, così come vorrebbe tornare agli anni di piombo, o gli anni della resistenza, magari per sparare su tutto ciò che proprio non si metabolizza, semplicemente per nutrirsi di odio in una piazzale Loreto che ogni giorno deve essere rievocata per il gusto di dire che loro sono “quelli che la libertà è nostra e l’abbiamo inventata noi”.
Suona strano quando certe proposte poi, partono da chi appoggia l’esecutivo, che tutto rappresenta tranne che la resistenza considerando il fatto che sono e detengono il potere. Chi ha proposto in Parlamento gli identificativi è il PD che oggi detiene le sorti dello Stato e decide quanto far pagare al suo popolo, nell’Italia della disoccupazione, del reddito di cittadinanza degli amici grillini, per tenere a bada i poveri, quei poveri a cui poi si fa la guerra. E la guerra la fanno a tutti i lavoratori come i poliziotti, scomodi, da imbavagliare e schedare. I lavoratori sono quelli che tirano a campare e pagano le tasse, poliziotti, operai, piccoli imprenditori, artigiani. Gli “ultimi”. Quelli onesti però.
Il riferimento va appunto alla proposta di Legge della Deputata del Pd Giuditta Pini che, da sconosciuta, oggi balza agli onori delle cronache, per aver “inventato” gli identificati per le forze di polizia. Inventato in vena ironica, tanto un’invenzione non è poiché provengono da iniziative passate come le campagne di Amnesty e tanti altri “onorevoli” prima della Pini.
Questi identificativi dovranno essere applicati sulle divise di chi viene impiegato per garantire la sicurezza pubblica. Secondo l’onorevole, i cattivi vanno schedati, perché se vuoi schedare la polizia, significa che c’è un pregiudizio ideologico forte che vede nelle divise dei delinquenti. E noi che pensavamo che i delinquenti fossero i Carlo Giuliani, quelli che vanno nelle manifestazioni travisati con passamontagna e che dopo vengono ricordati come ragazzi che andavano al mare, con l’estintore in mano da lanciare contro un carabiniere, e a cui sono state dedicate aule in Parlamento.
Ma cosa c’è da aspettarsi in una Italia che tributa delinquenti, violenti e venditori di morte, non riuscendo a chiamare le cose e le persone con il proprio nome? Che pensiamo male?
No. In molti pensano bene! I delinquenti sono quelli che vanno in Piazza per manifestare con il volto coperto, con le bombe e le mazze, quelli che devastano le città e colpiscono a morte gli Agenti.
Ai poveri Agenti resta ancora una volta mettersi un casco per non vedersi la testa rotta, loro si che ci mettono la faccia, il coraggio e la pelle ogni giorno. A loro non solo l’onere di rischiare la vita, anche il codice per sapere chi mandare a processo nel caso in cui qualche manifestante si faccia male mentre sta andando al mare armato di molotov. Perché il violento va tutelato con il codice per sapere subito il nome del poliziotto da seppellire con il fango mediatico e dimenticare 12 ore dopo, anche se muore. Perché in fondo un poliziotto è sempre scomodo, persino da morto!
L’Italia ha bisogno di paladine come l’onorevole Giuditta Pini, non per l’utilità di proposte come quella sugli identificativi, ma per capire da che parte stare. E la ringraziamo, perché in tanti ci sentiamo diversi da lei.